In questo articolo, parleremo di come gestire l’ansia che deriva dal lavoro nel mondo del digitale.

L’ansia.

Uno dei mostri che affligge coloro che lavorano nel digitale, è l’ansia: ansia che può facilmente tradursi in veri e propri attacchi di panico. Nel mondo del lavoro, l’ansia può essere legata a fattori molti diversi tra loro: 

gestire l'ansia
L’ansia è uno dei mostri che affligge chi lavora nel digitale.

Le pressioni sul lavoro che generano ansia

Spesso, le pressioni esterne sono una delle cause principali dell’ansia sul lavoro. Le pressioni possono essere causate da una varietà di fonti, tra cui scadenze stringenti, carichi di lavoro eccessivi, e così via.

Per gestire l’ansia sul lavoro dovuta alle pressioni esterne, è importante riconoscerne l’origine e affrontarla in modo proattivo. Una delle prime cose che puoi fare, è praticare l’arte di organizzare il lavoro, per avere una visione chiara delle scadenze e dei compiti da completare. In questo modo, puoi evitare di sentirsi sopraffatti e di non sapere da dove iniziare.

Inoltre, è fondamentale stabilire priorità e imparare a dire di “no” quando necessario. Spesso, le pressioni esterne derivano dal fatto che ci si sente obbligati a fare tutto, anche quando il lavoro è troppo. Imparare a negarsi, delegare e a chiedere aiuto ai colleghi può aiutare a ridurre lo stress e l’ansia. Appoggiarsi a quelle che in psicologia chiamiamo “risorse esterne” (come i colleghi), è infatti un’ottima idea quando affronti qualcosa di particolarmente difficile, complesso o stressante.

Quando l’incertezza economica genera ansia

L’incertezza economica è una delle principali cause di ansia sul lavoro. Quando l’economia è instabile, è normale (e “sano”) preoccuparsi per il proprio futuro finanziario e professionale. La perdita del lavoro, la mancanza di clienti, la riduzione dello stipendio, l’aumento delle bollette, possono causare stress e ansia, e le conseguenze possono essere importanti sia a breve che a lungo termine.

L’incertezza economica può, ironicamente, anche influire sulla produttività sul lavoro. Quando le persone sono preoccupate per il loro lavoro o per la situazione economica in generale, possono avere difficoltà a concentrarsi sul lavoro e ad essere produttive. Ciò può portare all’instaurarsi di un circolo vizioso, con una maggiore pressione da parte dei superiori o dei clienti e alla sensazione di non essere in grado di fare abbastanza, aumentando così l’ansia.

Per gestire l’ansia sul lavoro causata dall’incertezza economica, è importante sia gestire le finanze in modo conservativo, sia mantenere una visione realistica della situazione. Dobbiamo accettare l’incertezza: ci saranno sempre imprevisti ed eventi al di fuori del nostro controllo. Ciò che possiamo controllare, è come reagiamo a tali situazioni. Mantenere un atteggiamento positivo, cercare di migliorare le proprie competenze, tenere un fondo di riserva, mantenere una rete di contatti professionali, possono aiutare a ridurre l’ansia e migliorare le prospettive economiche.

Gestire l’ansia quando l’ambiente lavorativo è tossico

L’ambiente lavorativo può essere una fonte importante di ansia sul lavoro. Ci sono diversi fattori che possono contribuire a creare un ambiente stressante, come una cultura aziendale tossica o ostile, la mancanza di comunicazione e di risorse, una leadership disordinata.

La cultura aziendale può influire sull’ansia sul lavoro in modo significativo. Un ambiente di lavoro in cui ci sono conflitti costanti, mancanza di rispetto e riconoscimento, una tendenza ad avere altissime aspettative dai dipendenti, possono contribuire ad aumentare l’ansia tra i dipendenti.

Per gestire l’ansia sul lavoro causata dall’ambiente lavorativo, è importante identificare le cause sottostanti e cercare di affrontarle. Se l’ambiente di lavoro è tossico o ostile, potrebbe essere necessario rivolgersi a un superiore o addirittura cercare un ambiente di lavoro più sano.

Gestire l’ansia: la sindrome dell’impostore.

Molti di quelli che lavorano nel digitale, sperimentano prima o poi la sindrome dell’impostore. Di che cosa si tratta?

Hai ottenuto svariati risultati in ambito lavorativo, i tuoi colleghi ti ammirano e stimano, ma tu continui a pensare di non essere abbastanza. “Se sono riuscito a farcela, è stato solo per fortuna”. “Prima o poi, si accorgeranno tutti che sono un buono a nulla”.

Bada bene, non si tratta di semplice umiltà. L’umiltà implica autoconsapevolezza e coscienza dei propri limiti: so di avere una certa competenza, e di poterla applicare nell’ambito del mio lavoro. Ciononostante, so anche di non essere perfetto e di non conoscere tutto ciò che vorrei. 

No: si tratta di una sindrome in cui il soggetto si sottopone costantemente a processi di auto-svalutazione. E se non fossi capace? E se fossi solo un imbroglione? Questa sindrome è una delle principali cause di ansia e attacchi di panico tra coloro che lavorano nel mondo del digitale.

Umiltà e sindrome dell’impostore: come distinguerle.

Per spiegarti la differenza tra umiltà e sindrome dell’impostore, voglio farti un piccolo esempio. 

Molte persone, quando si approcciano al cinema e alla scrittura, cominciano a leggere manuali di sceneggiatura. Al termine della lettura, sono convinti di essere in grado di scrivere un film e magari anche di metterlo in piedi. Ma la realtà è molto diversa: c’è un abisso tra la teoria e la pratica, c’è un abisso tra la conoscenza e l’esperienza lavorativa. 

Io stesso ho frequentato una scuola di cinema nel 2012. I miei primi esperimenti facevano, ad essere generosi, pena… ad essere onesti, schifo. Ed è giusto che sia così. A quel tempo, pensavo:

E poi mi sforzavo di pensare: 

La verità (forse purtroppo?) è sempre nel mezzo: è vero che avevo letto e studiato molto, ma ovviamente non avevo ancora delle competenze pratiche. 

Bisogna imparare a sviluppare un certo grado di autoconsapevolezza se si vuole uscire dalle grinfie di questa sindrome. Bisogna imparare ad accettare le vie di mezzo e rimanere con i piedi per terra. 

Gestire l’ansia… superando la sindrome dell’impostore.

Anche se hai studiato molti libri, e seguito dei corsi online, non sei un genio. Questo non significa che tu sia un impostore: significa che hai bisogno di sviluppare esperienza per migliorare nel tuo lavoro. 

Anche se hai studiato sceneggiatura, non sei ancora uno sceneggiatore: lo sarai quando avrai scritto dei copioni da mettere in scena! In ogni caso, non è vero neanche il contrario: hai già sviluppato un certo valore, ma questo valore è suscettibile di essere aumentato nel tempo. 

Liberarsi della sindrome dell’impostore, è il primo passo per imparare a gestire l’ansia e per migliorare le proprie competenze professionali.

Aspettative troppo alte per il futuro.

Un’altra causa di ansia, che riguarda coloro che lavorano nel digitale, sono le aspettative troppo alte per il futuro. Mi spiego meglio:

Per imparare a gestire l’ansia, dobbiamo allora imparare a definire i nostri obiettivi. Ricordandoci che:

La gestione delle impressioni.

La gestione delle impressioni non è altro che il tentativo di mascherare le proprie emozioni negative – le paure, i dubbi, i ripensamenti – sia agli occhi degli altri che agli occhi di sé stessi. 

Ora, l’ansia funziona in maniera piuttosto subdola: 

Un mio collega, tempo fa, ha metaforizzato questo meccanismo nella maniera che segue: 

“Immagina: apri gli occhi e ti trovi di fronte a due bei problemi

  1. sei in bilico su una sedia.
  2. hai un cappio attorno al collo.

Preferiresti di gran lunga essere con i piedi appoggiati saldamente sul pavimento, invece che su quella sedia sbilenca. Se soffri di attacchi di panico la tua risposta automatica sarà quella di cercare di risolvere la situazione nell’immediato, partendo dal primo punto, ignorando gli effetti a lungo termine delle tue decisioni. E cosa succede a chi, con una corda attorno al collo, salta dalla sedia per cercare di poggiare i piedi a terra?”. 

Quando viviamo momenti di forte ansia, in effetti, facciamo di tutto per uscirne il prima possibile. Non c’è niente di strano: chiunque abbia sperimentato ansia o panico sa bene quanto queste sensazioni possano essere invalidanti e atroci.

Eppure, più cerchiamo di fuggire dall’ansia, più l’ansia continuerà a tormentarci.

Gestire l’ansia: tentate soluzioni.

Anche di fronte all’ansia, vengono generalmente messe in atto delle tentate soluzioni: si tratta di soluzioni apparenti che in realtà ingigantiscono il problema.

Quelle più comuni sono:

Gestire l'ansia
Le tentate soluzioni sono soluzioni apparenti che in realtà ingigantiscono il problema.

Evitamento e distrazione.

So quanto possa essere complicato, ma dobbiamo impegnarci per destrutturare un mito che troppo spesso ci complica la vita invece che semplificarla. Il mito è grossomodo il seguente: 

“Provare emozioni negative è sintomo di qualcosa. Di che cosa? Del fatto che, in me, c’è qualcosa che non va”. 

Questo mito si fonda su alcuni pregiudizi che bene o male condividiamo tutti. 

In realtà, gli esseri umani non vivono affatto in una condizione di serenità e felicità per propria natura. Gli esseri umani sono imperfetti: agiscono, sbagliano, poi si pentono dei propri errori. Gli esseri umani vivono in mezzo a dolori, angosce e turbamenti: non è forse vero che veniamo al mondo piangendo?

La distrazione.

In realtà, sforzarsi di non pensare ad un problema è la maniera migliore per farlo crescere inconsapevolmente. Altrove, ho fatto un parallelo con il fuoco: quando togliamo al fuoco l’ossigeno per qualche secondo, e poi glielo restituiamo, ecco che il fuoco comincia a crescere di grado e di intensità. 

Ecco che cos’è, molto in generale, la tentata soluzione della distrazione: “Provo ansia. Quando l’ansia arriva, mi sforzo di pensare ad altro”. Ogni volta che cerco di non pensare all’ansia, in realtà, le sto togliendo l’ossigeno solo per qualche secondo: quando tornerò – e, prima o poi, dovrò farlo – a pensarci, essa sarà cresciuta di grado e di intensità.

In secondo luogo, devo normalizzare l’ansia in quanto emozione condivisa da tutti gli esseri umani in alcuni momenti della propria vita: “Ora sto sperimentando ansia. Ma quest’ansia non è un mostro e non indica che io sia malato. Indica solo che sto provando un’emozione negativa. In questo, non c’è nulla di strano”. 

Ogni volta che tento di non pensare all’ansia, o che la demonizzo in quanto malattia, in realtà non sto facendo niente per migliorare o per risolvere il problema.

Evitamento.

La tentata soluzione della distrazione va a braccetto con l’evitamento: “Temo l’ansia, e quindi evito le situazioni che mi potrebbero far sperimentare questa sensazione”. Per cui, potrei ritrovarmi ad evitare situazioni in cui devo confrontarmi con il mio datore di lavoro per un’operazione che non ha dato i risultati sperati. O, addirittura, per l’ansia di fallire, potrei trovarmi a non lavorare affatto.

Ancora una volta, questa è una soluzione che funziona solo nel breve termine. Nel lungo termine, avrò imparato che la modalità efficace di affrontare un problema è evitarlo. Questo porta alla stasi e ad effetti del tutto paragonabili al burnout.

A un certo punto, senza rendercene conto, potremmo scivolare in comportamenti patologici che inficiano anche la nostra vita privata.

Richiesta d’aiuto.

Quando sperimentiamo ansia, tendiamo spesso a chiedere aiuto alle persone che ci circondano. Queste richieste d’aiuto possono essere di diverso genere: 

In generale, le persone che ci circondano tendono ad assecondare le nostre richieste d’aiuto. Non c’è niente di male: ci vogliono bene e pensano che assecondandoci possano darci una mano. 

In realtà, è vero il contrario: ogni volta che chiedo un aiuto, o che mi affido a qualcun altro per la gestione della mia vita, sto diventando sempre più vittima del meccanismo dell’ansia. A lungo andare, diventerò così dipendente da queste persone e dalle loro azioni che non sarò più in grado di fare niente da solo. 

Non solo: se comincio a modificare la mia vita sulla base dell’ansia che provo, in fin dei conti sto donando all’ansia un potere immenso. Tanto più agisco sulla base di questa terribile compagna di vita, tanto più essa arriverà a riguardare la mia vita a 360 gradi. 

Socializzazione del problema.

“Parlamene, ti farà bene”. 

“Parlarne con qualcuno ti aiuterà ad uscirne”. 

Quante volte hai sentito, o hai pronunciato, queste frasi? Moltissime, naturalmente. Voglio darti una notizia sconvolgente: si tratta di luoghi comuni ereditati da una certa tradizione del Novecento. 

Secondo questa tradizione, parlare dei problemi è il primo passo per risolverli. In verità, parlare sempre dei propri problemi è il modo migliore per farli crescere e per donargli sempre più potere sulla nostra vita.

Quando chiedi aiuto a parenti e ad amici, utilizzando la tentata soluzione della socializzazione, in realtà non fai altro che stigmatizzare ancora di più il tuo problema. Più ne parli, più avrai la sensazione di avere qualcosa di sbagliato; più pensi di avere qualcosa di sbagliato, più ti sarà difficile riuscire a gestire l’ansia e gli attacchi di panico. 

Con ciò, non intendo dire che tu non debba parlare del tuo problema o evitare di pensarci. In questo senso, faccio spesso svolgere ai miei pazienti un semplice esercizio: 

“Se senti il bisogno di parlarne, va bene. Se la persona con cui ne parli ti comprende, ancora meglio. In ogni caso, datti un tempo-limite per parlare dei tuoi problemi. Mettiamo caso che siano 15 minuti al giorno. Dopo quei 15 minuti, però, non tirare più fuori la tua problematica e chiedi esplicitamente alla persona a cui racconti di questi problemi, di limitarsi ad ascoltare senza darti alcun consiglio”. 

Gestire l’ansia: soluzioni funzionali.

Per cominciare ad approcciarci in modo sano alla nostra professione, dobbiamo anzitutto ripensare la maniera di vedere il futuro. Se io, inconsapevolmente o consapevolmente, ho la speranza che il domani possa essere un luogo di perfezione e di massima realizzazione, rimarrò sicuramente deluso dal corso degli eventi. Se io penso che domani sarò, avrò, vivrò (una vita perfetta), dovrò senza dubbio affrontare molte delusioni durante tutta la mia esistenza.

Si tratta quindi di modificare le proprie pretese, per far sì che i nostri sogni (o, meglio, le nostre chimere) non vadano ad infrangersi contro la verità della vita di tutti i giorni.

“Mi stai dicendo che non posso sognare in grande?”. 

Non dico questo: dico che vivere di illusioni, è il miglior modo per avere un biglietto di sola andata verso l’infelicità. Ogni volta che parlo con dei pazienti che lavorano nel marketing, mi trovo a sentir dire: “Quando ho cominciato ero sicuro di diventare un grande marketer. Vedevo già la mia villa, la mia macchina, una ragazza. E invece, che cosa ho tra le mani?”.

Ansia e piedi per terra.

In fondo, lo sai anche tu: le persone come Musk, Gates – e come i più grandi CEO del mondo – sono dei casi eccezionali. Si tratta di una percentuale di persone davvero minima rispetto a tutti quelli che lavorano nell’ambito del marketing. Ma la stessa cosa si potrebbe dire di tutti quegli ambiti fondati sulla competizione: è forse Bolt tanto famoso perché è come tutti gli altri? 

No, lo è proprio perché è un caso eccezionale: è probabile che molti di noi – e lo dico senza autocommiserazione – non raggiungeranno mai un tale livello di fama o di successo. Si tratta forse di una consapevolezza amara, ma di una consapevolezza necessaria: il successo è l’eccezione, e non la normalità; la fama è l’eccezione, e non qualcosa che riguarda indistintamente la maggior parte di noi. 

Piuttosto che sognare un futuro perfetto, comincia allora a concentrarti sul tuo presente: 

Questo cambiamento di prospettiva, te lo assicuro, ti porterà a vivere in modo migliore sia la tua vita professionale che la tua vita privata. Ti aiuterà a gestire l’ansia causata dalle pretese irreali in ambito lavorativo.

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